BIOGRAFIA
Riccardo Burchielli nasce in Toscana il 27 febbraio 1975. Disegna il suo primo fumetto, un racconto breve di “Desdy Metus”, nel 1996, ma decide di troncare immediatamente la sua esperienza nel mondo dei fumetti.
Per alcuni anni lavora come art-director presso un’agenzia pubblicitaria e solo nel 2003 ritorna sui suoi passi. Roberto Recchioni e Lorenzo Bartoli, a caccia di giovani talenti per le riviste “Skorpio” e “Lanciostory” e per la loro nuova serie “John Doe” (Eura Editoriale), lo convincono a cambiare idea e a ricominciare a tempo pieno la sua attività di fumettista.
I lettori lo apprezzano fin da “John Doe” n. 5, il suo albo d’esordio nella collana dedicata all’ex direttore della ditta Trapassati Inc., una società per azioni soprannaturale che ha il compito di organizzare i decessi per conto della Morte. Sono suoi anche i numeri 12 e 24 e un racconto breve di John Doe per la rivista “Skorpio”.
Nel 2005 a Napoli conosce il supervisore della DC Comics Will Dennis che apprezza i suoi lavori italiani e gli propone di disegnare una nuova serie per la linea Vertigo. Burchielli inizia così a realizzare su testi di Brian Wood il mensile “DMZ”, serie tuttora in corso di pubblicazione.
Contemporaneamente continua a collaborare con Roberto Recchioni. A cavallo fra il 2006 e il 2007 disegna due capitoli di “Ucciderò ancora Billy the Kid” (Edizioni BD), una storia che mescola western e zombi.
Nel 2006 espone le sue tavole nella mostra collettiva “Maledetti toscani” organizzata da “Lucca Comics & Games”. L’anno seguente il festival di Lucca gli dedica la personale “DMZ: Every Day is 9/11” e gli assegna il premio Gran Guinigi come Migliore Disegnatore.
ARTICOLO SU DMZ
Dal sito http://www.fumettidicarta.it/Garage_Ermetico/dmz/dmz_tp1.htm
DMZ vol. 1
Sulla terra
Planeta DeAgostini
di Brian Wood (testi e disegni), Riccardo Burchielli (disegni) e Jeromy Cox (colori)
128 pagine, colori, brossurato, 10,95 euro
DMZ significa “Demilitarized Zone” (zona demilitarizzata), un’area in cui non stazionano le truppe di nessuna delle fazioni in guerra. E’ una terra di nessuno, come il 36° parallelo che separa le due Coree, una striscia di Terra che serve a fare da cuscinetto alle parti in conflitto.
Nel fumetto di fantascienza scritto da Brian Wood e disegnato da Riccardo Burchielli la DMZ che dà il titolo è Manhattan e le fazioni che si affrontano da una sponda all’altra del fiume Hudson sono gli USA e gli Stati Liberi [1]. Wood immagina, infatti, un futuro molto vicino in cui gli Stati Uniti, a forza di esportare democrazia a suon di bombe in giro per il Mondo, hanno subito una deriva autoritaria che ha portato una parte dei cittadini a ribellarsi e a combattere una Guerra Civile.
Il primo episodio di DMZ inizia quando la guerra è in corso ormai da diversi anni e le due fazioni sono in una posizione di stallo, trincerate sui due lati della Grande Mela con Manhattan nel mezzo a subire il fuoco incrociato.
Il protagonista del fumetto, un fotografo stagista di nome Matty, viene inviato a Manhattan al seguito di un giornalista di grido per fare dei servizi sulla vita nell’isola. Tutta la troupe tranne Matty muore sotto il fuoco nemico e così il ragazzo si ritrova da solo in una città che non riconosce più e gli è ostile.
Sotto una patina di finzione e fantascienza Wood rivive e rielabora gli avvenimenti e le paure affrontati dal Mondo negli ultimi anni. New York è stata zona di guerra per un giorno l’11 settembre 2001 e l’autore ha vissuto l’attacco alle Torri Gemelle da cittadino newyorkese; il collegamento con l’attentato è evidenziato da una scritta su un muro, “ogni giorno è l’11/9”, utilizzata per battezzare la mostra che Lucca Comics 2007 ha dedicato al fumetto.
L’autore descrive così l’esperienza a
http://www.newsarama.com/SDCC05/DC/Vertigo/DMZ/SDCCDMZ.html: “Ero lontano alcune miglia da Manhattan quel giorno, così la mia esperienza è piuttosto blanda rispetto a quella di alcuni miei amici. Sono rimasto a Bushwick per tre giorni a guardare la televisione. Quando me la sono sentita di tornare in città sono andato a Houston Street in metropolitana, subito al di sotto della “linea di sicurezza”, e le immagini delle strade prive di macchine tranne i veicoli militari e l’odore di gomma bruciata mi hanno davvero colpito. Sembrava davvero una zona di guerra. Quell’immagine mi ha accompagnato per tutto questo tempo, anche dopo che gli altri ricordi di quei giorni sono sbiaditi.”
Inoltre la città come campo di battaglia ridotta a un cumulo di macerie e attraversata dai combattimenti per le strade non può non ricordare quanto successo a Gaza, Beirut e soprattutto a Baghdad dove, allo stesso modo della Manhattan di DMZ, è l’esercito degli Stati Uniti una delle parti in causa.
In un fumetto che ha tanti agganci con la politica e i fatti del Mondo reale contemporaneo viene spontaneo chiedersi quale sia la posizione di Brian Wood. Pur non affermandolo in modo aperto (ma DMZ è una serie lunga e ancora in corso: nel primo volume italiano sono stati pubblicati cinque capitoli sugli attuali venticinque), lo scrittore sembra non approvare l’operato del governo americano (quello vero, non quello fittizio del fumetto…).
Questo sentimento emerge dalle premesse della serie (l’”eccesso” nell’”esportazione di democrazia”, di cui Wood ha parlato nell'intervista a Newsarama), dal tema della libertà di stampa, affrontato in modo vigoroso e a più riprese nel corso del volume (la manipolazione dell’informazione è uno dei marchi di fabbrica dell’amministrazione Bush), e soprattutto dal fatto che la guerra è sempre raccontata dal punto di vista di chi ne subisce le conseguenze.
In DMZ non c’è mai l’apologia dell’eroismo legato al combattimento e all’affrontare il nemico con spavalderia e a viso aperto: l’eroina di Wood è una studentessa di medicina che cura bambini con le braccia amputate, mentre i soldati in azione fanno pessime figure e, per salvarsi la pelle, espongono i civili ai colpi dei cecchini al posto loro.
Non c’è nemmeno quel patriottismo troppo retorico che sconfina in un meccanico eseguire gli ordini e in una contrapposizione netta e cieca noi/loro, uomini liberi/terroristi. Il patriottismo, l’unica volta che emerge nel corso del fumetto, è vissuto in modo sofferto da un soldato degli Stati Liberi (cioè una persona dipinta dagli USA come “terrorista”) e non è altro che amore per i suoi concittadini e nostalgia per il tempo in cui gli USA non erano un posto malato.
Al di là del tema della politica, ciò che più preme a Wood è parlare della vita dei civili in tempo di guerra. Appena giunto a Manhattan, Matty pensa di essere attorniato da persone allo sbando, abbrutite e costrette a mangiare topi e piccioni. Ha presto modo di ricredersi, scoprendo nel corso degli episodi che sono stati creati ospedali di fortuna nei palazzi abbandonati e giardini e bar sui tetti. C’è perfino chi si prende cura degli animali dello zoo di Central Park e chi sfrutta le sue conoscenze di medico, ingegnere o architetto per dare un contributo al ripristino dei servizi